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Fandom: Originale, Borgo Sbadiglio
Titolo: Il Cavaliere dell'Ippopotamo
Rating: General
Note: Ringrazio tutti quelli che mi hanno sopportato durante la stesura di questo racconto. Nessun ippopotamo o Vincent è stato maltrattato durante la stesura ~♥
Challenge: Con la testa vuota @
italianslashers
Nota: La scena bonus è disponibile qui
Thaddeus BoB adora tornare a casa dal collegio per le vacanze.
Dopotutto Borgo Sbadiglio ha sempre qualcosa di nuovo e divertente, quando ci si passa ad intervalli di mesi.
Dal finestrino del treno che traballa e sferraglia sul binario, trascinato dalla locomotiva che ansima esausta lasciandosi dietro un lungo pennacchio di fumo bianco, il ragazzo osserva il panorama sussultare e allontanarsi.
È una calda giornata d'estate, ma il vetro è fresco sotto le sue dita snelle dalle unghie rosee e pulite.
Lo scompartimento è vuoto, per il momento.
Oltre alla sua valigia, riposta sull'apposito ripiano, c’è soltanto una gemella sul ripiano di fronte.
Dalle due maniglie penzolano identiche, appese a cordini rossi, le targhette spesse con i nomi dei proprietari e l’indirizzo del collegio.
Le iniziali brillano d'oro vicino alla serratura. T.B. e V.C.
Thaddeus BoB, Vincent Cagliostro.
Ora che è solo nello scompartimento e il mal di pancia per le troppe risate si è calmato un po’, può lasciarsi prendere dal pensiero di quanto sia contento di rivedere la sua famiglia, soprattutto in un momento tanto inaspettato.
Durante la maggior parte dell'anno scolastico Thaddeus è lontano da casa, nel prestigioso collegio privato dove risiede e studia.
È quindi comprensibile che voglia trascorrere del tempo con i suoi cari, per quanto possano essere strani, pallidi e tristi.
Un po' meno comprensibile è la lettera che viaggia con lui ora e che arriverà con lui in stazione centrale a Borgo Sbadiglio, quando – già si vede nel gesto – salterà giù dal treno tutto sorridente, ancora in uniforme e con la cravatta in disordine.
La lettera è su carta spessa e ruvida color avorio con l'intestazione in oro del collegio, scritta con grafia fluente in inchiostro nero, e porta in fondo la spaventosa firma tutta svolazzi del preside dell'istituto.
Gentile Signor BoB, Gentile Signora BoB,
in veste di preside del Collegio Cagliostro, sono più che felice di comunicarVi che Vostro figlio Thaddeus è stato recentemente premiato per un’azione meritoria nei confronti della scuola e degli studenti tutti.
È per questo motivo che oltre a una medaglietta commemorativa del gesto, e a una menzione d’onore, gli sono stati concessi dei giorni di vacanza, perché si riprenda dall’eroica fatica.
Vi prego di tributargli l’onore che gli spetta, e di trattarlo con ogni cura, poiché il Vostro Thaddeus ha dimostrato un coraggio senza pari in una situazione che mai si era verificata prima e che nessuno sapeva come risolvere.
Cordiali saluti,
Il preside,
Salomon Cagliostro
Thaddeus rilegge la lettera per l’ennesima volta, poi la ripone con cura nella tasca della valigia. Gli viene da ridere a leggere parole tanto pompose, ma ancora di più se pensa al tipo di emergenza in cui si è trovata la scuola.
Il pensiero gli viene strappato a viva forza quando la porta dello scompartimento si spalanca e sbatte e Vincent fa la sua entrata in scena, rumorosa come sempre.
“Cibo!” annuncia, deponendo un piccolo tesoro di panini, dolci e una mela sul sedile, e sedendosi poi dall’altro lato del bottino.
“Hai saccheggiato il vagone ristorante…? Ma avevo da mangiare… ieri hanno riaperto la mensa apposta per noi, appena hanno finito di pulire…”
Vincent fa un sorrisone malandrino e senza rispondere sbrana un pezzo dell’imponente panino con la cotoletta.
“Ma ‘osì è ‘iù diver’en’e,” borbotta, cercando inutilmente di parlare intorno al boccone.
Thaddeus ride, per niente disgustato.
“Mastica, altrimenti muori,” ribatte, servendosi a sua volta dal mucchio.
Effettivamente al collegio sono stati più che prodighi nel rifornire i due ragazzi di cibarie per il viaggio. Ma Vincent adora servirsi di qualsiasi privilegio gli venga dato, e sul treno da Borgo Paracelso a Borgo Sbadiglio anche la medaglietta che gli è stata conferita ieri, di fretta ma con pompa, è servita da lasciapassare.
Vincent finalmente deglutisce l’immane boccone e osserva con sottile divertimento Thaddeus che pilucca tutto preciso e ordinato il suo panino, senza far cadere neanche una briciola.
“Dovresti vederti allo specchio, sembri un principino, un piccolo lord,” lo schernisce, prima di staccare un altro mastodontico boccone, che rischierà di slogargli la mandibola.
Thaddeus per tutta risposta sorride ancora di più. Sembra quasi di vedere stelline multicolori sprizzare dalla gioia che comunica con ogni sorriso.
“E tu sei un barbaro,” ride Thaddeus, “e dire che qui quello altolocato sei tu,” termina, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Vincent.
Non è mai facile essere il prezioso pargolo di un personaggio importante. Lavorare o studiare sotto l’autorità di un genitore o parente, poi, tende a diventare una faccenda complessa.
È difficile che qualcuno tributi alcuna reverenza a Vincent per il fatto di essere il figlio del preside Cagliostro, a sua volta figlio del fondatore del Collegio Cagliostro, nonché Conte di Cagliostro e di Paracelso.
Questo perché il ragazzo, a dispetto dei bei voti ma confermando l’antica superstizione che vuole ribelle e capriccioso chi è rosso di capelli e pelo, è sempre stato nella lista nera dell’intero corpo docenti.
Non importa quanto il preside e padre strepiti, minacci, punisca e sospenda. Vincent lo ignora felicemente, al sicuro sotto l’ombrello dorato dei voti perfetti, e continua a girare per la scuola senza cravatta o spettinato, a tornar tardi la sera dalla locanda del paese, a scavalcare il cancello strappandosi i pantaloni per rientrare dopo il coprifuoco.
In confronto Thaddeus è un angioletto. Sempre ordinato e in orario, sempre inappuntabile, talmente preciso che ci si potrebbe chiedere come possano essere diventati amici.
Ma d’altra parte, l’amicizia è uno spiritello ben misterioso e imperscrutabile se come Vincent e Thaddeus è riuscito ad avvicinare persone diverse come la signora BoB e la signora Ouka.
“Essere altolocati porta soltanto rogne,” commenta Vincent a panino finito, raccogliendo la mela dal mucchio per lucidarla. Procurarsi delle posate è totalmente al di fuori dalle sue preoccupazioni, quindi andrà mangiata con la buccia, un po’ per uno.
Morde il frutto poi lo porge a Thaddeus, che lo imita.
“Però ieri ci è andata bene,” commenta, accarezzando con le dita la medaglietta applicata al bavero della giacca dell’uniforme.
“Bene?!” il sorriso di Vincent è quasi maniacale, si allarga in un’ilarità deliziata, “scherzi? È andata benissimo… io pensavo che ci avrebbero sospeso per l’eternità.”
Tutto era iniziato la mattina precedente, quando un circo itinerante aveva ottenuto – dopo aver pregato in ginocchio su ceci secchi per ore di fronte all’inflessibile Cagliostro – di mettere le tende per la giornata nel parco della scuola.
Non che fosse una prassi normalmente accettata, ma Borgo Paracelso manteneva le stradine strette e prive di piazze di un’architettura medievale, e l’unico slargo disponibile in una zona protetta all’interno delle mura era proprio quello.
Il preside aveva accettato, non senza borbottare.
E ancora di più aveva sonoramente borbottato quando gli era stato chiesto in tono implorante un favore speciale.
“Io ero nello studio di papà a farmi rimproverare,” ricorda Vincent pulendosi le mani appiccicose di mela sulle falde della giacca. Thaddeus gli porge un immacolato fazzoletto col monogramma.
“E ho visto tutta la scena. Il Capocirco è arrivato con le sue scarpe rotte e il cappello in mano e ha chiesto con molta dignità il permesso di ospitare il cucciolo di ippopotamo nelle lavanderie,” fa una pausa per ridere. Non della povertà di un uomo onesto, no, ma dell’espressione di suo padre di fronte a una richiesta del genere.
“E tuo padre cosa ha detto?” Thaddeus gliel’avrà sentito dire una ventina di volte tra ieri sera e oggi, ma ancora non si è stancato della storia, come se non ne avesse fatto parte anche lui ma l’avesse solo ascoltata ancora e ancora.
“È diventato tutto rosso e i baffi gli tremavano di sdegno. Non riuscivo a trattenere il ridere, ma ho fatto del mio meglio. Mi ha mandato via ma mi sono nascosto dietro la porta a origliare…”
“E poi?”
“Ci ha rimuginato un po’, ma ha dovuto acconsentire. Lo sa che lo chiamano Barbablù, non poteva mica rischiare di peggiorare la sua situazione.”
“Certo che no,” Thaddeus è abbastanza convinto nella sua obiezione, “ci hai pensato tu.”
Vincent gli saetta un altro sguardo letale.
“Mi pare che ti sia andata bene, anche se non hai fatto altro che volermi fermare, povero Thaddeus innocente.”
Thaddeus tira su col naso, piccato.
“Non volevo che qualcuno si facesse male, ecco.”
“Nessuno si è fatto male, contento?” Vincent rintuzza il tentativo di farlo sentire in colpa, a cose ormai fatte.
“E poi?” Thaddeus si è già di nuovo calato nel ruolo di avido ascoltatore.
“E poi hanno fanno entrare i carrozzoni nel cortile e hanno acceso il fuoco… hanno disposto le gabbie con gli animali nel modo migliore, e l’ippopotamino è stato portato in lavanderia, mentre i piccoli delle classi inferiori guardavano sconvolti. Tu dov’eri?”
“Io ero in camera a finire i compiti… non sapevo niente.”
“Ma che te lo chiedo a fare,” sbuffa Vincent, pur con un accenno di risata, “secchione.”
Thaddeus scrolla le spalle.
“Continua, dai.”
“Allora, con l’ippopotamo al sicuro nella lavanderia, Barbablù ha comunicato alla scuola di non avvicinarsi neanche per sbaglio.”
“Ma tu non potevi assolutamente rispettare l’ordine, vero?”
“Certo che no. Quindi sono andato a conoscere l’ospite inatteso…”
“…con in mente un oscuro proposito.”
Vincent gli tira un pezzetto di buccia di mela, già rinsecchito e annerito.
“Devo raccontare io o no? Non interrompere sempre.”
Thaddeus scuote la giacca prima che si macchi e gli fa una brutta smorfia, che Vincent interpreta come un assenso.
Come Thaddeus ha detto, Vincent si è effettivamente introdotto in lavanderia con in mente un criminoso piano per scatenare un po’ di sano caos.
D’altra parte, come biasimarlo di voler approfittare della presenza di un animale tanto esotico in un luogo come Borgo Paracelso?
“Ippo stava facendo un sonnellino quando sono arrivato, steso sulle piastrelle. Qualcuno doveva avergli dato da poco una secchiata d’acqua, perché aveva ancora la pelle tutta lucida e bagnata.”
“E tu con la testaccia vuota che ti ritrovi, hai cercato di mettergli delle briglie…” Thaddeus scuote la testa e si sposta prima che giunga l’ennesima rappresaglia: a Vincent non piace proprio quando gli si ruba la scena, anche se il pubblico è costituito soltanto da loro due.
Stavolta Vincent lo ignora, troppo preso dall’epopea.
“Sì, avevo preso delle corde, ma tu hai idea di quanto sia scivoloso un ippopotamo?”
“No, e non mi sarebbe mai passato per la testa di fare una cosa del genere,” ribatte Thaddeus con un secco no-no che fa sollevare le sue ciocche bionde, liscissime.
“Noioso e guastafeste, come se non ti fossi divertito poi. Avanti, visto che sei così bravo, continua tu,” decreta, sedendosi comodo comodo sul sedile, una gamba piegata e appoggiata sull’altra.
“Allora… quatto quatto hai cercato di bardare il povero animale, che nel frattempo si è svegliato e reso conto della tua presenza… a questo punto, in mancanza di qualcuno a cui denunciare le molestie che gli avevi infert-oh! Ehi!”
Stavolta il proiettile è il torsolo tutto smangiucchiato, che ha già lasciato una triste macchia giallina sulla camicia bianca.
“Colpisce più la mela che la spada. Continua, e sappi che ho altri proiettili.”
“Insomma, l’ippopotamo si è svegliato e si è giustamente impaurito. Mentre tu ti rendevi ridicolo cercando di montargli in groppa, io felice e ignaro venivo a cercarti per chiederti una cosa.”
Il resto probabilmente entrerà presto a far parte degli annali del Collegio Cagliostro, verrà versificato e cantato in musica.
Entro sera tutti, persino i primini più sprovveduti, hanno saputo dell’eroica cavalcata di Vincent, durata circa cinque secondi prima che questo, sbalzato di sella dall’animale agitato, non finisse rotolon rotoloni nella sala del senato studentesco, in piena riunione strategica.
Di come Thaddeus ormai a conoscenza del misfatto, e vista la mala parata, abbia inseguito la bestiola per i labirintici corridoi del collegio, cercando senza successo di afferrare la corda ancora legata al collo dell’ippopotamo.
Thaddeus è ripreso dalle risate mentre ricorda le battute finali.
“Abbiamo avuto una fortuna sfacciata,” commenta, mentre Vincent fa enormi palloni con la gomma da masticare, e li scoppia con le dita impiastricciandosi il viso di bruscolini rosa.
“Mh-mh.” L’ultimo pallone è scoppiato con troppa violenza, e gli si è impastato ai capelli. “Papà voleva scorticarmi, ma non ha potuto.” Vincent assapora la gioia insieme ai pezzetti di gomma alla fragola.
“Certo, perché io ho aperto la porta del ripostiglio della carta igienica, e tu invece sei rimasto lì a ridere e a dire che eri tutto un livido, e a prenderti la gloria.”
Vincent sorride. “Tu hai lasciato che io lo facessi.”
Thaddeus sta per ribattere, ma il fischio assordante del treno li avverte che sono giunti a Borgo Sbadiglio, stazione centrale.
È il momento di prendere i bagagli, raggruppare la spazzatura, saltar giù dal treno nella tersa giornata azzurra, e dirigersi ridendo verso Villa Dellamorte, al numero 17 di via dei Gatti Neri.
La storia dell’ippopotamo imbizzarrito è arrivata in paese prima ancora dei due ragazzi, fin nei minimi particolari.
Nel giardino della signora Ouka già si parla di come Thaddeus, eroico, abbia sfidato l’orrendo mostro e sia riuscito ad intrappolarlo in una slavina di rotoli di carta igienica, quando l’animale imbizzarrito si è scontrato a tutta birra contro lo scaffale.
Intanto, Aspasia von Richtenstein coccola la sua Euterpe, e seduta al tavolo per l’arancino delle cinque, spiega al marito che il povero preside Cagliostro non ha potuto punire il figlio – nonostante si meritasse una pubblica flagellazione per i danni alla scuola e ai sistemi nervosi di ippopotamo e Capocirco – perché tanto Vincent avrebbe fatto ugualmente ciò che voleva. E in più la scuola avrebbe protestato, proteggendo l’infame rossocrinito.
Madama Jasmine è sulla soglia della sua bottega, osserva il cielo, forse in cerca – chissà – di un pallone aerostatico a strisce bianche e rosse, e rimugina su come un atto quasi vandalico possa diventare un’azione eroica.
Villa Dellamorte invece è silente, ed è l’unico posto del paese in cui la notizia non sia arrivata.
Essa viaggia con i due collegiali che varcano ora il cancelletto, concentrati in una fittissima conversazione quasi del tutto priva di lazzi.
È la prima volta che Vincent viene a casa BoB, quindi Thaddeus ha ritenuto opportuno spiegargli qualcosa riguardo la sua famiglia. Lui ci è abituato, ma un estraneo potrebbe trovare alcuni comportamenti un po’ strani e allarmanti.
Vincent non sembra di questo avviso, tutt’altro.
“Davvero i tuoi genitori fingono ognuno che l’altro sia morto?!” Non l’ha detta, ma il tono sottende una parola molto più immediata e molto meno cortese.
“No,” ribatte Thaddeus, “non è figo, e non fanno finta. Loro sono convinti che sia così. Quindi non ti sconvolgere.”
“Ma no che non mi sconvolgo, anzi! Andiamo… non vedo l’ora di conoscerli.”
“Va bene…” Thaddeus lo conduce all’interno, e già risveglia la casa con richiami e saluti ai quali nessuno risponderà. Normalmente sarebbe un pizzico in imbarazzo a introdurre un estraneo inconsapevole in casa sua. Non perché si vergogni della sua famiglia, no, ma prova quel brivido di disagio che sorge all’incontrarsi di più realtà, entrambe familiari alla singola persona, ma sconosciute le une alle altre.
In qualche modo, l’atteggiamento di Vincent lo rende più fiero.
Almeno finché l’amico non ne farà una delle sue, il che è molto probabile. Thaddeus non è tipo da giudicare la sanità mentale di chiunque, ma non può negare che gli venga spesso in mente una frase, letta forse in un libro quando era bambino.
“Ma non voglio andare tra la gente matta,” disse Alice.
“Oh, ma non puoi farci niente,” disse il Gatto. “Siamo tutti matti qui. Io sono matto. Tu sei matta.”
“Come fai a sapere che sono matta?” disse Alice.
“Lo devi essere,” disse il Gatto, “o non saresti venuta qui.”*
*Da ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’, Lewis Carrol, 1865, traduzione mia.
Titolo: Il Cavaliere dell'Ippopotamo
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Nota: La scena bonus è disponibile qui
~ Il Cavaliere dell’Ippopotamo ~
~*~
Thaddeus BoB adora tornare a casa dal collegio per le vacanze.
Dopotutto Borgo Sbadiglio ha sempre qualcosa di nuovo e divertente, quando ci si passa ad intervalli di mesi.
Dal finestrino del treno che traballa e sferraglia sul binario, trascinato dalla locomotiva che ansima esausta lasciandosi dietro un lungo pennacchio di fumo bianco, il ragazzo osserva il panorama sussultare e allontanarsi.
È una calda giornata d'estate, ma il vetro è fresco sotto le sue dita snelle dalle unghie rosee e pulite.
Lo scompartimento è vuoto, per il momento.
Oltre alla sua valigia, riposta sull'apposito ripiano, c’è soltanto una gemella sul ripiano di fronte.
Dalle due maniglie penzolano identiche, appese a cordini rossi, le targhette spesse con i nomi dei proprietari e l’indirizzo del collegio.
Le iniziali brillano d'oro vicino alla serratura. T.B. e V.C.
Thaddeus BoB, Vincent Cagliostro.
Ora che è solo nello scompartimento e il mal di pancia per le troppe risate si è calmato un po’, può lasciarsi prendere dal pensiero di quanto sia contento di rivedere la sua famiglia, soprattutto in un momento tanto inaspettato.
Durante la maggior parte dell'anno scolastico Thaddeus è lontano da casa, nel prestigioso collegio privato dove risiede e studia.
È quindi comprensibile che voglia trascorrere del tempo con i suoi cari, per quanto possano essere strani, pallidi e tristi.
Un po' meno comprensibile è la lettera che viaggia con lui ora e che arriverà con lui in stazione centrale a Borgo Sbadiglio, quando – già si vede nel gesto – salterà giù dal treno tutto sorridente, ancora in uniforme e con la cravatta in disordine.
La lettera è su carta spessa e ruvida color avorio con l'intestazione in oro del collegio, scritta con grafia fluente in inchiostro nero, e porta in fondo la spaventosa firma tutta svolazzi del preside dell'istituto.
Gentile Signor BoB, Gentile Signora BoB,
in veste di preside del Collegio Cagliostro, sono più che felice di comunicarVi che Vostro figlio Thaddeus è stato recentemente premiato per un’azione meritoria nei confronti della scuola e degli studenti tutti.
È per questo motivo che oltre a una medaglietta commemorativa del gesto, e a una menzione d’onore, gli sono stati concessi dei giorni di vacanza, perché si riprenda dall’eroica fatica.
Vi prego di tributargli l’onore che gli spetta, e di trattarlo con ogni cura, poiché il Vostro Thaddeus ha dimostrato un coraggio senza pari in una situazione che mai si era verificata prima e che nessuno sapeva come risolvere.
Cordiali saluti,
Il preside,
Salomon Cagliostro
Thaddeus rilegge la lettera per l’ennesima volta, poi la ripone con cura nella tasca della valigia. Gli viene da ridere a leggere parole tanto pompose, ma ancora di più se pensa al tipo di emergenza in cui si è trovata la scuola.
Il pensiero gli viene strappato a viva forza quando la porta dello scompartimento si spalanca e sbatte e Vincent fa la sua entrata in scena, rumorosa come sempre.
“Cibo!” annuncia, deponendo un piccolo tesoro di panini, dolci e una mela sul sedile, e sedendosi poi dall’altro lato del bottino.
“Hai saccheggiato il vagone ristorante…? Ma avevo da mangiare… ieri hanno riaperto la mensa apposta per noi, appena hanno finito di pulire…”
Vincent fa un sorrisone malandrino e senza rispondere sbrana un pezzo dell’imponente panino con la cotoletta.
“Ma ‘osì è ‘iù diver’en’e,” borbotta, cercando inutilmente di parlare intorno al boccone.
Thaddeus ride, per niente disgustato.
“Mastica, altrimenti muori,” ribatte, servendosi a sua volta dal mucchio.
Effettivamente al collegio sono stati più che prodighi nel rifornire i due ragazzi di cibarie per il viaggio. Ma Vincent adora servirsi di qualsiasi privilegio gli venga dato, e sul treno da Borgo Paracelso a Borgo Sbadiglio anche la medaglietta che gli è stata conferita ieri, di fretta ma con pompa, è servita da lasciapassare.
Vincent finalmente deglutisce l’immane boccone e osserva con sottile divertimento Thaddeus che pilucca tutto preciso e ordinato il suo panino, senza far cadere neanche una briciola.
“Dovresti vederti allo specchio, sembri un principino, un piccolo lord,” lo schernisce, prima di staccare un altro mastodontico boccone, che rischierà di slogargli la mandibola.
Thaddeus per tutta risposta sorride ancora di più. Sembra quasi di vedere stelline multicolori sprizzare dalla gioia che comunica con ogni sorriso.
“E tu sei un barbaro,” ride Thaddeus, “e dire che qui quello altolocato sei tu,” termina, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Vincent.
Non è mai facile essere il prezioso pargolo di un personaggio importante. Lavorare o studiare sotto l’autorità di un genitore o parente, poi, tende a diventare una faccenda complessa.
È difficile che qualcuno tributi alcuna reverenza a Vincent per il fatto di essere il figlio del preside Cagliostro, a sua volta figlio del fondatore del Collegio Cagliostro, nonché Conte di Cagliostro e di Paracelso.
Questo perché il ragazzo, a dispetto dei bei voti ma confermando l’antica superstizione che vuole ribelle e capriccioso chi è rosso di capelli e pelo, è sempre stato nella lista nera dell’intero corpo docenti.
Non importa quanto il preside e padre strepiti, minacci, punisca e sospenda. Vincent lo ignora felicemente, al sicuro sotto l’ombrello dorato dei voti perfetti, e continua a girare per la scuola senza cravatta o spettinato, a tornar tardi la sera dalla locanda del paese, a scavalcare il cancello strappandosi i pantaloni per rientrare dopo il coprifuoco.
In confronto Thaddeus è un angioletto. Sempre ordinato e in orario, sempre inappuntabile, talmente preciso che ci si potrebbe chiedere come possano essere diventati amici.
Ma d’altra parte, l’amicizia è uno spiritello ben misterioso e imperscrutabile se come Vincent e Thaddeus è riuscito ad avvicinare persone diverse come la signora BoB e la signora Ouka.
“Essere altolocati porta soltanto rogne,” commenta Vincent a panino finito, raccogliendo la mela dal mucchio per lucidarla. Procurarsi delle posate è totalmente al di fuori dalle sue preoccupazioni, quindi andrà mangiata con la buccia, un po’ per uno.
Morde il frutto poi lo porge a Thaddeus, che lo imita.
“Però ieri ci è andata bene,” commenta, accarezzando con le dita la medaglietta applicata al bavero della giacca dell’uniforme.
“Bene?!” il sorriso di Vincent è quasi maniacale, si allarga in un’ilarità deliziata, “scherzi? È andata benissimo… io pensavo che ci avrebbero sospeso per l’eternità.”
Tutto era iniziato la mattina precedente, quando un circo itinerante aveva ottenuto – dopo aver pregato in ginocchio su ceci secchi per ore di fronte all’inflessibile Cagliostro – di mettere le tende per la giornata nel parco della scuola.
Non che fosse una prassi normalmente accettata, ma Borgo Paracelso manteneva le stradine strette e prive di piazze di un’architettura medievale, e l’unico slargo disponibile in una zona protetta all’interno delle mura era proprio quello.
Il preside aveva accettato, non senza borbottare.
E ancora di più aveva sonoramente borbottato quando gli era stato chiesto in tono implorante un favore speciale.
“Io ero nello studio di papà a farmi rimproverare,” ricorda Vincent pulendosi le mani appiccicose di mela sulle falde della giacca. Thaddeus gli porge un immacolato fazzoletto col monogramma.
“E ho visto tutta la scena. Il Capocirco è arrivato con le sue scarpe rotte e il cappello in mano e ha chiesto con molta dignità il permesso di ospitare il cucciolo di ippopotamo nelle lavanderie,” fa una pausa per ridere. Non della povertà di un uomo onesto, no, ma dell’espressione di suo padre di fronte a una richiesta del genere.
“E tuo padre cosa ha detto?” Thaddeus gliel’avrà sentito dire una ventina di volte tra ieri sera e oggi, ma ancora non si è stancato della storia, come se non ne avesse fatto parte anche lui ma l’avesse solo ascoltata ancora e ancora.
“È diventato tutto rosso e i baffi gli tremavano di sdegno. Non riuscivo a trattenere il ridere, ma ho fatto del mio meglio. Mi ha mandato via ma mi sono nascosto dietro la porta a origliare…”
“E poi?”
“Ci ha rimuginato un po’, ma ha dovuto acconsentire. Lo sa che lo chiamano Barbablù, non poteva mica rischiare di peggiorare la sua situazione.”
“Certo che no,” Thaddeus è abbastanza convinto nella sua obiezione, “ci hai pensato tu.”
Vincent gli saetta un altro sguardo letale.
“Mi pare che ti sia andata bene, anche se non hai fatto altro che volermi fermare, povero Thaddeus innocente.”
Thaddeus tira su col naso, piccato.
“Non volevo che qualcuno si facesse male, ecco.”
“Nessuno si è fatto male, contento?” Vincent rintuzza il tentativo di farlo sentire in colpa, a cose ormai fatte.
“E poi?” Thaddeus si è già di nuovo calato nel ruolo di avido ascoltatore.
“E poi hanno fanno entrare i carrozzoni nel cortile e hanno acceso il fuoco… hanno disposto le gabbie con gli animali nel modo migliore, e l’ippopotamino è stato portato in lavanderia, mentre i piccoli delle classi inferiori guardavano sconvolti. Tu dov’eri?”
“Io ero in camera a finire i compiti… non sapevo niente.”
“Ma che te lo chiedo a fare,” sbuffa Vincent, pur con un accenno di risata, “secchione.”
Thaddeus scrolla le spalle.
“Continua, dai.”
“Allora, con l’ippopotamo al sicuro nella lavanderia, Barbablù ha comunicato alla scuola di non avvicinarsi neanche per sbaglio.”
“Ma tu non potevi assolutamente rispettare l’ordine, vero?”
“Certo che no. Quindi sono andato a conoscere l’ospite inatteso…”
“…con in mente un oscuro proposito.”
Vincent gli tira un pezzetto di buccia di mela, già rinsecchito e annerito.
“Devo raccontare io o no? Non interrompere sempre.”
Thaddeus scuote la giacca prima che si macchi e gli fa una brutta smorfia, che Vincent interpreta come un assenso.
Come Thaddeus ha detto, Vincent si è effettivamente introdotto in lavanderia con in mente un criminoso piano per scatenare un po’ di sano caos.
D’altra parte, come biasimarlo di voler approfittare della presenza di un animale tanto esotico in un luogo come Borgo Paracelso?
“Ippo stava facendo un sonnellino quando sono arrivato, steso sulle piastrelle. Qualcuno doveva avergli dato da poco una secchiata d’acqua, perché aveva ancora la pelle tutta lucida e bagnata.”
“E tu con la testaccia vuota che ti ritrovi, hai cercato di mettergli delle briglie…” Thaddeus scuote la testa e si sposta prima che giunga l’ennesima rappresaglia: a Vincent non piace proprio quando gli si ruba la scena, anche se il pubblico è costituito soltanto da loro due.
Stavolta Vincent lo ignora, troppo preso dall’epopea.
“Sì, avevo preso delle corde, ma tu hai idea di quanto sia scivoloso un ippopotamo?”
“No, e non mi sarebbe mai passato per la testa di fare una cosa del genere,” ribatte Thaddeus con un secco no-no che fa sollevare le sue ciocche bionde, liscissime.
“Noioso e guastafeste, come se non ti fossi divertito poi. Avanti, visto che sei così bravo, continua tu,” decreta, sedendosi comodo comodo sul sedile, una gamba piegata e appoggiata sull’altra.
“Allora… quatto quatto hai cercato di bardare il povero animale, che nel frattempo si è svegliato e reso conto della tua presenza… a questo punto, in mancanza di qualcuno a cui denunciare le molestie che gli avevi infert-oh! Ehi!”
Stavolta il proiettile è il torsolo tutto smangiucchiato, che ha già lasciato una triste macchia giallina sulla camicia bianca.
“Colpisce più la mela che la spada. Continua, e sappi che ho altri proiettili.”
“Insomma, l’ippopotamo si è svegliato e si è giustamente impaurito. Mentre tu ti rendevi ridicolo cercando di montargli in groppa, io felice e ignaro venivo a cercarti per chiederti una cosa.”
Il resto probabilmente entrerà presto a far parte degli annali del Collegio Cagliostro, verrà versificato e cantato in musica.
Entro sera tutti, persino i primini più sprovveduti, hanno saputo dell’eroica cavalcata di Vincent, durata circa cinque secondi prima che questo, sbalzato di sella dall’animale agitato, non finisse rotolon rotoloni nella sala del senato studentesco, in piena riunione strategica.
Di come Thaddeus ormai a conoscenza del misfatto, e vista la mala parata, abbia inseguito la bestiola per i labirintici corridoi del collegio, cercando senza successo di afferrare la corda ancora legata al collo dell’ippopotamo.
Thaddeus è ripreso dalle risate mentre ricorda le battute finali.
“Abbiamo avuto una fortuna sfacciata,” commenta, mentre Vincent fa enormi palloni con la gomma da masticare, e li scoppia con le dita impiastricciandosi il viso di bruscolini rosa.
“Mh-mh.” L’ultimo pallone è scoppiato con troppa violenza, e gli si è impastato ai capelli. “Papà voleva scorticarmi, ma non ha potuto.” Vincent assapora la gioia insieme ai pezzetti di gomma alla fragola.
“Certo, perché io ho aperto la porta del ripostiglio della carta igienica, e tu invece sei rimasto lì a ridere e a dire che eri tutto un livido, e a prenderti la gloria.”
Vincent sorride. “Tu hai lasciato che io lo facessi.”
Thaddeus sta per ribattere, ma il fischio assordante del treno li avverte che sono giunti a Borgo Sbadiglio, stazione centrale.
È il momento di prendere i bagagli, raggruppare la spazzatura, saltar giù dal treno nella tersa giornata azzurra, e dirigersi ridendo verso Villa Dellamorte, al numero 17 di via dei Gatti Neri.
La storia dell’ippopotamo imbizzarrito è arrivata in paese prima ancora dei due ragazzi, fin nei minimi particolari.
Nel giardino della signora Ouka già si parla di come Thaddeus, eroico, abbia sfidato l’orrendo mostro e sia riuscito ad intrappolarlo in una slavina di rotoli di carta igienica, quando l’animale imbizzarrito si è scontrato a tutta birra contro lo scaffale.
Intanto, Aspasia von Richtenstein coccola la sua Euterpe, e seduta al tavolo per l’arancino delle cinque, spiega al marito che il povero preside Cagliostro non ha potuto punire il figlio – nonostante si meritasse una pubblica flagellazione per i danni alla scuola e ai sistemi nervosi di ippopotamo e Capocirco – perché tanto Vincent avrebbe fatto ugualmente ciò che voleva. E in più la scuola avrebbe protestato, proteggendo l’infame rossocrinito.
Madama Jasmine è sulla soglia della sua bottega, osserva il cielo, forse in cerca – chissà – di un pallone aerostatico a strisce bianche e rosse, e rimugina su come un atto quasi vandalico possa diventare un’azione eroica.
Villa Dellamorte invece è silente, ed è l’unico posto del paese in cui la notizia non sia arrivata.
Essa viaggia con i due collegiali che varcano ora il cancelletto, concentrati in una fittissima conversazione quasi del tutto priva di lazzi.
È la prima volta che Vincent viene a casa BoB, quindi Thaddeus ha ritenuto opportuno spiegargli qualcosa riguardo la sua famiglia. Lui ci è abituato, ma un estraneo potrebbe trovare alcuni comportamenti un po’ strani e allarmanti.
Vincent non sembra di questo avviso, tutt’altro.
“Davvero i tuoi genitori fingono ognuno che l’altro sia morto?!” Non l’ha detta, ma il tono sottende una parola molto più immediata e molto meno cortese.
“No,” ribatte Thaddeus, “non è figo, e non fanno finta. Loro sono convinti che sia così. Quindi non ti sconvolgere.”
“Ma no che non mi sconvolgo, anzi! Andiamo… non vedo l’ora di conoscerli.”
“Va bene…” Thaddeus lo conduce all’interno, e già risveglia la casa con richiami e saluti ai quali nessuno risponderà. Normalmente sarebbe un pizzico in imbarazzo a introdurre un estraneo inconsapevole in casa sua. Non perché si vergogni della sua famiglia, no, ma prova quel brivido di disagio che sorge all’incontrarsi di più realtà, entrambe familiari alla singola persona, ma sconosciute le une alle altre.
In qualche modo, l’atteggiamento di Vincent lo rende più fiero.
Almeno finché l’amico non ne farà una delle sue, il che è molto probabile. Thaddeus non è tipo da giudicare la sanità mentale di chiunque, ma non può negare che gli venga spesso in mente una frase, letta forse in un libro quando era bambino.
“Ma non voglio andare tra la gente matta,” disse Alice.
“Oh, ma non puoi farci niente,” disse il Gatto. “Siamo tutti matti qui. Io sono matto. Tu sei matta.”
“Come fai a sapere che sono matta?” disse Alice.
“Lo devi essere,” disse il Gatto, “o non saresti venuta qui.”*
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*Da ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’, Lewis Carrol, 1865, traduzione mia.